È stata per decenni l’ultima ruota del carro, la più piccola di cinque sorelle, quella che rimaneva sempre indietro, arrancando per ottenere anche il minimo risultato senza mai riuscire a stare al passo. Ora però l’Africa ha finalmente cominciato a crescere e a ritagliarsi un proprio spazio sui mercati mondiali accanto all’Europa, l’America, l’Asia e l’Australia.
Quello conosciuto dal continente negli ultimi anni è uno sviluppo senza precedenti, rapido e consistente, anche se decisamente disomogeneo, che ha portato alcuni dei suoi Paesi a occupare i primi posti nella graduatoria globale della crescita. Dal 2000 in poi molte delle economie africane hanno iniziato da prima a consolidarsi, poi a espandersi a livello locale e infine a tessere una fitta rete di legami con alcune delle principali potenze mondiali, Europa e Cina in primo luogo.
Per fare un punto sul nuovo stadio di sviluppo raggiunto dall’Africa nell’ultimo decennio, 150 rappresentanti di governi, organizzazioni internazionali e società civile si sono dati appuntamento nei giorni scorsi ad Addis Abeba, in Somalia, insieme ad esponenti della Banca africana per lo sviluppo, della Commissione economica della Nazioni unite per l’Africa e della Commissione dell’Unione africana.
Durante il vertice sono state analizzate le attuali prospettive di crescita regionali, gli effetti della crisi globale sui mercati locali e gli ostacoli che ancora separano i Paesi dell’area dal raggiungimento degli Obiettivi di sviluppo del millennio fissati dall’Onu.
Uno sviluppo stupefacente. La carta geografica dello sviluppo del continente emersa dal vertice di Addis Abeba stupisce in primo luogo per le nettissime differenze rispetto a quella tracciata alla fine dello scorso millennio: molte zone un tempo nere o grigie risultano ormai di un colore acceso, mentre quelle che già in passato presentavano qualche tinta più o meno forte sono ora addirittura sgargianti. Secondo i dati dell’Ocse, l’Organizzazione per lo sviluppo e la crescita economica, tra il 2000 e il 2007 sono stati ben 19 i Paesi africani a salire sul treno dello sviluppo, lasciandosi alle spalle la povertà estrema di cui avevano sempre sofferto e avvicinandosi a grandi falcate ai vagoni occupati dalle grande potenze. Nel suo ultimo rapporto sulla crescita del continente, l’Ocse parla di un’“evoluzione spettacolare dell’Africa, comparata al resto del mondo”, soprattutto se si prende in considerazione il periodo successivo alla crisi finanziaria globale del 2007, causata dai mutui americani, dalla speculazione e dall’aumento dei costi delle materie prime. Oggi i consumi di molte popolazioni africane crescono due o tre volte più in fretta della media dei Paesi Ocse, moltiplicando le opportunità di business per le aziende e favorendo la crescita di numerosi settori: infrastrutture, industria, alimentare, edilizia, telecomunicazioni, logistica e servizi.
Certo, le recenti rivoluzioni scoppiate nel nord del continente hanno causato alcuni problemi, come l’aumento del prezzo dei generi alimentari e del greggio, che hanno rallentato la crescita media del Pil africano. Ma le previsioni degli economisti parlano comunque di un aumento che raggiungerà il 3,7 per cento alla fine di quest’anno, mentre le proiezioni per il 2012 parlano addirittura di un 6 per cento.
Rischi da non sottovalutare. A fronte di questo trend positivo, non tutti i progressi ottenuti fino a questo momento sono andati nella direzione giusta. “Bisogna stimolare una crescita economica inclusiva che corregga gli effetti delle politiche inefficienti e dell’esplosione demografica”, ha sottolineato Mthuli Ncube, capo economista e vice presidente della Banca africana per lo sviluppo . “Gli sforzi dei governi devono tendere non solo al business, ma a distribuire la ricchezza prodotta: alla creazione di lavoro, agli investimenti nei servizi sociali, alla formazione. Se vogliamo che i più vulnerabili non rimangano troppo indietro è importante dare la priorità alla sanità, alla scuola ai servizi di base”. Quello che serve oggi all’Africa, insomma, è uno sviluppo equilibrato e sostenibile, che non sia a vantaggio dei pochi, ma che possa portare benessere a tutte le persone che vivono sul continente.
di Jennifer Zocchi
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