Onu, migliorano le condizioni di vita nel mondo. Ma c’è ancora molto da fare

Siamo più sani, più ricchi e più educati. E abbiamo accesso a una gamma più vasta di beni e servizi. A dirlo è il Rapporto delle Nazioni Unite sullo sviluppo umano 2010 presentato lo scorso 4 novembre a New York. Rispetto a 40 anni fa l’aspettativa di vita della popolazione mondiale è passata da 59 a 70 anni, la scolarizzazione elementare dal 55% al 70% e il reddito pro capite si è raddoppiato per superare i 10.000 dollari. Anche gli abitanti dei Paesi in via di sviluppo hanno visto migliorare i livelli di salute e di istruzione.

Gli aspetti di fragilità. Tuttavia il quadro globale non è completamente positivo. “In questi anni abbiamo assistito anche all’aumento della disuguaglianza, a livello sia nazionale sia internazionale, e all’affermarsi di modelli di produzione e di consumo che si sono rivelati sempre più insostenibili” spiega l’analisi. Lo studio mostra infatti la mancata uniformità dell’entità del progresso nello sviluppo umano: “in alcune regioni, come l’Africa meridionale e l’ex Unione Sovietica, la popolazione ha vissuto periodi di regresso, soprattutto nella sfera della salute”.

La coordinatrice del Programma Onu per lo sviluppo umano (Undp), Helen Clark ha dichiarato che “c’è ancora molto che i Paesi possono fare per migliorare le vite delle persone anche in condizioni avverse. Ciò richiede delle coraggiose leadership locali, come pure l’impegno continuativo della comunità internazionale”. L’emergere di nuove vulnerabilità richiede, secondo l’organizzazione, politiche pubbliche innovative che consentano di affrontare i rischi e le disuguaglianze, sfruttando il dinamismo delle forze di mercato per il bene di tutti.

Nuovi strumenti per capire le problematiche. Per affrontare questi problemi occorrono strumenti nuovi. Già dalla prima edizione del Rapporto, nel 1991, l’Undp ha utilizzato l’Indice di sviluppo umano (Isu), in alternativa alle misure puramente economiche dei risultati nazionali basate sul Prodotto interno lordo. Questo è servito a dimostrare che non esiste un collegamento automatico fra crescita economica e progresso umano. E ha contribuito a gettare le fondamenta concettuali per gli Obiettivi di sviluppo del Millennio. Nel Rapporto 2010 sono stati presi in considerazione altri tre indici (Indice dello sviluppo umano corretto per la disuguaglianza, Indice della disuguaglianza di genere e Indice multidimensionale della povertà), che hanno permesso di ottenere un’immagine più precisa della situazione mondiale.

I risultati. Ne è emerso che quasi tutti i paesi hanno beneficiato di un progresso generale: dei 135 paesi inclusi nel campione per il periodo 1970-2010, che rappresentano il 92% della popolazione mondiale, solo tre hanno oggi un Isu più basso rispetto al 1970. Si tratta di Repubblica democratica del Congo, Zambia e Zimbabwe. Complessivamente, i paesi poveri stanno colmando il divario con quelli ricchi in termini di Isu. Le nazioni che hanno registrato i progressi maggiori sono le protagoniste del cosiddetto “miracolo economico”, come la Cina, l’Indonesia e la Corea del Sud, ma anche paesi come il Nepal, l’Oman e la Tunisia, che hanno fatto passi avanti altrettanto notevoli nelle dimensioni non reddituali dello sviluppo umano.

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