E’ stato presentato lo scorso 9 giugno a Roma il IV Rapporto sui lavoratori di origine immigrata negli archivi INPS, curato dal Centro Studi e Ricerche Idos-Dossier Statistico Immigrazione Caritas/Migrantes in collaborazione con l’Istituto Nazionale di Previdenza Sociale.
Che la percentuale di lavoratori nel sistema italiano provenienti da paesi stranieri (comunitari e non) fosse alta, si sapeva, come conferma lo stesso Dossier. Il dato interessante che emerge dal rapporto è piuttosto un altro: i risultati raccolti nell’arco del 2007-2010 dimostrano che la regolarità del lavoro svolto da persone di origine immigrata rappresenta per queste un forte fattore di integrazione.
Sono molti gli indicatori a darne prova, primo fra tutti il ruolo dell’INPS: l’indagine rivela che a Roma 9 lavoratori immigrati su 10 non solo conoscono l’Istituto e i diritti previdenziali, ma sono anche mediamente soddisfatti per l’assistenza ricevuta, seppure sottolineino la necessità di superare alcuni problemi dovuti alle barriere linguistiche.
E’ specialmente nel settore del lavoro “familiare” che si registra, come prevedibile, il risultato più consistente: circa mezzo milione di lavoratori immigrati, in larga parte donne, impiegati in questo settore sono iscritti all’INPS. Il loro supporto incide considerevolmente sul bilancio italiano: in un Paese con almeno 2,6 milioni di persone non autosufficienti e una popolazione composta per oltre un quinto da ultra-sessantacinquenni, il contributo di lavoratori stranieri consente alle casse pubbliche un risparmio di 6 miliardi di euro per il 2007 (dati del Ministero del Lavoro).
Anche in agricoltura la presenza immigrata, che incide per oltre un quinto sul totale degli addetti, è sempre più rilevante sia tra gli stagionali che tra gli operai a tempo indeterminato. Un dato estremamente significativo specie si sguarda al futuro: sul lungo termine, infatti, questo apporto dei migranti favorirà il ricambio generazionale dei coltivatori diretti italiani, tra i quali più di un decimo ha superato i 65 anni, garantendo probabilmente il futuro dell’agricoltura italiana.
L’elemento più significativo riguarda sicuramente l’assistenza previdenziale, per la quale esiste – a danno dei lavoratori stranieri – una consistente sproporzione. Al loro ingente versamento di contributi previdenziali infatti (circa 7,5 miliardi di euro nel 2008) corrisponde una scarsa destinazione di prestazioni pensionistiche: all’inizio del 2010 sono stimabili in appena 110 mila i pensionati stranieri. Considerata l’età media nettamente più bassa di quella degli italiani (31,1 anni contro 43,5), questo andamento è destinato a durare per diversi anni, con innegabili benefici per l’intero sistema previdenziale.
Inoltre, altro dato più interessante da sottolineare, la regolarità del lavoro come fattore di integrazione sembra convincere davvero l’INPS che sottolinea come la tutela previdenziale e la copertura assicurativa siano parte integrante della politica migratoria al fine di accompagnare e sostenere i percorsi di inclusione.
Giorgia Li Vigni
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